giovedì 13 giugno 2019

L’ARTE DEL JUDO E IL GIOCO DEGLI SCACCHI

La prima volta che sono salito sulla materassina (tatami, in giapponese) avrò avuto circa dieci anni.
Ricordo ancora quanto dovetti insistere con i miei genitori che proprio non ne volevano sapere di farmi praticare questo sport, all’epoca ancora semi sconosciuto (erano gli anni ’60 ) poiché avevano paura che mi potessi fare male.
Nonostante tutto riuscii a spuntarla e con mia immensa gioia iniziai la pratica di questa bellissima e nobilissima arte marziale proveniente dal Giappone.
Purtroppo la palestra (era una palestra del dopolavoro dei dipendenti del Comune di Roma), chiuse dopo un anno e solo da adolescente, qualche anno dopo, ne trovai
un’altra che mi piacesse.
Si trattava della storica palestra Audace, in Via Frangipane (Roma) dove iniziai peraltro a gareggiare come agonista sotto la guida del M° Aureli.
Dopo qualche anno, una serie di vicissitudini tra le quali il lavoro che mi portò a fare da spola tra Roma e Firenze, mi costrinsero a sospendere la pratica del Judo ma, intorno al 1983, dopo essermi sposato e andato a vivere nella zona est di Roma, mi iscrissi al Nettuno Club dove insegnava il M° Umberto Foglia.
Pur essendo ancora giovane e potendo quindi gareggiare, feci la scelta, condivisa anche dalle idee del M° Foglia, di non lasciarmi prendere da un agonismo esasperato bensì di vedere il Judo per quello che realmente è: uno sport che lancia un messaggio altamente educativo che, se colto, può migliorare il modo di vivere e di essere del praticante.
Infatti, se un insegnante prepara l’allievo solo dal punto di vista agonistico, nel tempo probabilmente avrà creato un bravo atleta ma non per questo avrà contribuito a creare una persona migliore.
Pertanto, ricominciai innanzitutto ad allenarmi moltissimo (quasi tutti i giorni) ma principalmente per il piacere di farlo, lontano da finalità esclusivamente agonistiche.
Ricominciai anche a gareggiare ma sempre dando un’importanza relativa al risultato, ovvero, per me era importante gareggiare per il piacere di farlo e consideravo la gara un momento di verifica: se vincevo un combattimento voleva dire che in palestra avevo lavorato bene ed ero migliorato, mentre se perdevo, questo stava a significare che qualcosa andava rivisto e avrei potuto fare meglio la prossima volta.
Nel frattempo erano nati i miei due figli Simone, nel 1985 e Luca, nel 1989.
Il più grande, che ogni tanto mi accompagnava in palestra per assistere agli allenamenti, rimase affascinato da questa disciplina sportiva e mi chiese di iniziarla anche lui.
Lo seguì, dopo qualche anno, anche Luca e ci ritrovammo tutti e tre sul Tatami, seppur in orari e turni diversi ma con la medesima passione.
Nel 1993 avvenne un fatto straordinario che rappresentò per me un grande onore: l’allora Presidente della FILPJ (attuale FIJLKAM) Matteo Pellicone, dopo aver preso visione del mio curriculum di Judoka, decise di conferirmi “Motu Proprio” la Cintura Nera 1° Dan di Judo “Quale riconoscimento della Sua pluriennale attività e dei meriti da Lei acquisiti nell’ambito del Judo italiano” 
Questo riconoscimento, che per qualcuno avrebbe potuto rappresentare un punto di arrivo, ebbe su di me l’effetto di incoraggiamento a proseguire nell’attività judoistica.
Fu così che, trascorsi gli anni necessari per passare di Dan, sostenni l’esame per secondo Dan.
In quest’occasione però, essendo la mia palestra affiliata ad un Ente di Promozione Sportiva riconosciuto dal CONI, si trattò non del grado Federale ma del grado CSEN (fermo restando che il programma d’esame è uguale).
Nel frattempo avevo avuto il piacere di conoscere il Maestro Benemerito di Judo Alberto Di Francia e cominciai a frequentare la sua palestra (Judo Preneste –Sito Internet www.judopreneste.com).
Ogni sabato mattina suo genero, il M° Nicola Ripandelli e il M° Franco Sellari, tenevano presso il Judo Preneste dei corsi di Kata, la cui conoscenza mi era già stata necessaria per il sostenimento dell’esame presso lo CSEN.
Questi corsi erano però particolarmente professionali e decisi di frequentare il Judo Preneste per prepararmi anche all’esame Federale (sempre per il secondo Dan) e inoltre all’apposito corso di preparazione presso il Comitato Regionale Lazio FIJLKAM.

Qui, per capire meglio, bisognerebbe fare una precisazione: tutti i gradi ottenuti presso la FIJLKAM sono automaticamente riconosciuti dagli Enti di Promozione Sportiva del CONI mentre tutti i gradi degli Enti di Promozione Sportiva del CONI non sono riconosciuti automaticamente dalla Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali (FIJLKAM).
In buona sostanza, manca la reciprocità e a mio avviso bisognerebbe fare qualcosa per colmare questa lacuna. Per questo motivo mi sottoposi nuovamente all’esame per secondo Dan (questa volta Federale), che ottenni nel 2002.
Successivamente, desideroso di insegnare questa disciplina, partecipai al corso per istruttori di Judo dello CSEN (del quale ero già allenatore e arbitro regionale) e approfittai dell’occasione per sostenere anche l’esame di 3° Dan.
Nel frattempo anche i miei figli proseguivano nella pratica del Judo diventando entrambi cintura marrone.
Luca però, decise di sospendere tale disciplina fermandosi, appunto, a tale grado. 
Simone, il più grande, nonostante alcuni gravi infortuni avvenuti in fase di allenamento, intese proseguire guadagnandosi in gara la cintura nera 1° Dan.
Io nel frattempo mi dilettavo nell’attività di insegnamento e creai anche un’Associazione culturale denominata CISAM (Centro Italiano per lo Studio delle Arti Marziali) di cui fui nominato Presidente e che affiliai allo CSEN.
Inoltre mi dedicai a scoprire anche un’altra Arte Marziale, l’Aikido, del quale sono cintura marrone.
La mia passione, però, era e resta il Judo e in tempi recenti, dopo aver frequentato un apposito corso Federale, sono diventato Presidente di Giuria regionale della FIJLKAM.
Questo è, in estrema sintesi, il mio curriculum sportivo.
Per quanto riguarda invece gli scacchi, anche in questo caso si tratta di una passione di vecchia data che iniziò quando avevo tredici anni ovvero nel 1972.
All'epoca, infatti, si svolse a Reykjavik, in Islanda, il campionato del mondo di scacchi passato alla storia con l'appellativo di "Incontro del secolo" tra il detentore del titolo Boris Spasskij (U.R.S.S.) e lo sfidante Bobby Fischer (U.S.A.).
L'incontro, che si disputò tra l'11 luglio 1972 e il 3 settembre 1972, fu vinto dall'americano per 12,5 a 8,5.
Eravamo in piena "guerra fredda" e l'incontro ebbe una risonanza mondiale anche perché, per la prima volta, fu trasmesso in televisione.
Ricordo ancora che io, alla fin fine piccolino, lo seguii con grandissima attenzione e passione arrivando anche ad acquistare alcuni manuali (oltre a una scacchiera, naturalmente).
Purtroppo però non riuscii a trovare un circolo scacchistico vicino casa e pertanto dovetti, per forza di cose, abbandonare l’idea.
Tra l’altro, forse non avrei avuto il tempo materiale di inserire anche questa passione nella mia routine quotidiana visto che studiavo pianoforte presso il Conservatorio di Musica Santa Cecilia di Roma dove tra l’altro superai egregiamente sia la prova di ammissione (sembra strano ma per essere ammessi a studiare uno strumento bisognava dimostrare di saperlo già ben suonare) che, dopo qualche anno, il difficile esame di solfeggio e teoria musicale.
Adesso, che ho sessant’anni e sono finalmente in pensione, sto piano piano ritrovando il piacere di dedicarmi a tanti hobby (o se vogliamo usare il plurale - cosa normalmente sconsigliata - potremmo dire hobbies).
Per quanto riguarda il Judo, dopo una vita trascorsa sul Tatami, ho fatto la scelta di sospenderlo anche per motivi di salute.
Per ciò che concerne il pianoforte, mi diletto a suonarlo quando ne ho voglia e tempo a casa visto che ho un ottimo pianoforte acustico verticale.
Ma dopo tantissimi anni, grazie anche al prezioso aiuto di internet, ho trovato vicino a casa mia un bellissimo circolo degli scacchi (Scuola Popolare di Scacchi) aderente alla Federazione scacchistica italiana (F.S.I.) dove vengono svolti corsi, tornei e ci si può mettere alla prova e conoscerci meglio giocando liberamente il martedì sera.
Finalmente, quindi, dopo circa quarantasei anni sto ritrovando il piacere di avvicinarmi a questa disciplina anche se, per ovvi motivi, sono per forza di cose un principiante.
Nonostante tutto ho partecipato con successo al corso per Istruttore Scolastico Divulgativo promosso dalla Federazione Scacchistica Italiana (aderente al C.O.N.I.).
Frequentando la Scuola Popolare di Scacchi ho avuto modo di constatare che molti scacchisti non solo hanno una formazione scolastica superiore (ovvero diplomati ma, ancor di più, laureandi o laureati) ma spesso provengono da studi di tipo scientifico (non di rado matematica e fisica) il che sembrerebbe avvalorare la tesi secondo la quale esiste un forte legame tra razionalità, calcolo e gioco degli scacchi.
Ma da poco ho scoperto che esiste anche una forte relazione tra scacchi e musica.

Tra l’altro sono numerosi i musicisti appassionati di scacchi nonché ottimi giocatori.
Si possono citare, a titolo d’esempio: 
- Francois Philidor (scacchista eccelso del ‘700 ma anche musicista di corte);
- Vasily Smyslov (cantante d’opera);
- Sergei Prokofiev (abile compositore e provetto scacchista);
- Maurice Ravel (1875-1937 - musicista molto noto, tra l’altro per il ‘Bolero’ composto nel 1928);
- Robert Alexander Schumann (compositore, pianista e critico musicale tedesco). Tra l’altro, Schumann scrisse: “Nella musica è come negli scacchi. La regina (melodia) ha il massimo potere, ma il colpo decisivo dipende sempre dal re (armonia)”.
- Ennio Morricone (direttore d’orchestra e compositore di colonne sonore per film);
Ma anche nell’ambito della musica leggera molti artisti sono (o sono stati) anche dei buoni giocatori.
Anche in questo caso possiamo citare, sempre a titolo di esempio:
- Luigi Tenco;
- Fabrizio De André;
- Enrico Ruggeri;
- Max Pezzali;
- Jovanotti;
- Francesco de Gregori
Molto si è scritto sulle similitudini tra le due discipline e quindi non voglio addentrarmi e invito chiunque intenda approfondire di farlo attraverso la lettura di numerosi testi sull’argomento (molto materiale è anche reperibile su internet).
Comunque sembrerebbe che in entrambe le discipline entrino in gioco gli stessi processi cognitivi.
Poi non dimentichiamoci che tutte e due richiedono impegno, dedizione, sacrificio.
Un pianista professionista, per prepararsi ad esempio a un concerto per pianoforte e orchestra, studia mediamente nove ore al giorno alternando esercizi come scale e arpeggi, all’approfondimento della partitura e questo identico sacrificio lo ritroviamo anche negli scacchi in quanto i professionisti, per gareggiare ad alti livelli, devono sottoporsi a una rigorosa disciplina pena la perdita del titolo precedentemente conquistato.
Ad ogni buon conto, anche nello strumento (ad esempio il pianoforte) la stessa improvvisazione (sia che si parli di Blues che di Jazz), segue delle regole ben precise di armonia e quindi richiede un approfondito studio per essere messa in pratica.
Esiste tra l’altro una relazione molto stretta tra la musica e la matematica e quindi un accostamento tra quella che è razionalità e sentimento.
Ad esempio, nel suonare il pianoforte (che è uno strumento percussivo) si pigiano con le dita i tasti che a loro volta mettono in moto dei martelletti che percuotono le corde emettendo un suono.
Se noi immaginiamo di tendere una corda e mettere un ponticello esattamente alla metà, otterremo due suoni identici ma con ottave diverse (uno più grave e l’altro più acuto).
Se poi questo ponticello lo mettiamo ad esempio a 2/3 otterremmo un suono che è equivalente alla quinta della nota precedentemente suonata (se la prima nota era un Si bemolle, avremo quindi la sua quinta ovvero un Fa).
Mettendolo a ¾ avremmo un intervallo di quarta (in questo caso un Mi bemolle).
La musica si incontra con la matematica anche nella ritmica ovvero, ad esempio, una misura di 4/4 è suddivisibile in ottavi che a loro volta possono essere suddivisi in sedicesimi e questo ci fa capire la stretta relazione tra le due discipline.
Naturalmente poi nell’esecuzione intervengono altri fattori come ad esempio delle pause, dei momenti più forti e altri meno forti, ma la scansione delle misure sarà sempre e comunque quella basata su concetti matematici.
Se poi parliamo delle scale musicali (prendiamo a prestito la scala di do maggiore), la sua costruzione è suddivisa in toni e semitoni e, più precisamente, due intervalli di tono tra il Do e il Mi (Do – Re e Re- Mi) un semitono (tra il Mi e il Fa) e infine altri tre toni e un semitono.
Quindi i musicisti sanno perfettamente che una scala maggiore è composta da 2 toni e 1 semitono nonché da 3 toni e 1 semitono.
Preferisco al momento fermarmi qui sulla relazione tra scacchi, matematica e musica perché desidero ora approfondire un altro argomento che mi sta molto a cuore ovvero la relazione tra gli scacchi e il judo.
Spesso ho sentito descrivere la lotta di Judo come una partita a scacchi in movimento.
Non mi ero mai soffermato molto su questa descrizione ma da quando frequento il mio circolo di scacchi, devo dire che in effetti vi sono molte similitudini.
La cosa che immediatamente salta all’occhio è che in entrambe i casi si tratta di un combattimento che, seguendo determinate regole, porta uno dei due contendenti alla vittoria, alla sconfitta oppure al pareggio.
Negli scacchi si deve riuscire a fare prigioniero il Re tramite lo scacco matto e nel Judo si deve riuscire a sconfiggere l’avversario oppure costringerlo alla resa.
Tecnicamente il Judo può essere definito come un metodo d'educazione fisica e mentale basato su una disciplina di combattimento, d'attacco e difesa, a mani nude. 
La stessa cosa però accade nel gioco degli scacchi in quanto viene simulata una battaglia tra il bianco e il nero.
Il Prof. Jigoro Kano, creatore del judo amava dire ai suoi allievi:
"Solo dopo aver tanto combattuto, così da arrivare al di là della nozione di vittoria e di sconfitta, si aprono le porte di una visione d'amore nella vita. Il combattimento di Judo è come una vaccinazione contro la violenza: la si affronta a piccole dosi, la si vince dentro se stessi e infine si acquista la capacità (o la saggezza) di riflettere nelle diverse situazioni della vita".
Esistono poi delle similitudini che si trovano proprio nel corso dell’allenamento e nella gara.
Ad esempio nel Judo è fondamentale salutare rispettosamente il Tatami, in quanto luogo della pratica, il Maestro e, ancor di più, i compagni di allenamento oppure l’avversario in gara (questo avviene all’inizio del combattimento ma anche alla fine).
Negli scacchi c’è meno formalità ma prima di un incontro si usa stringere rispettosamente la mano dell’avversario e augurargli di fare una buona partita.
Nel Judo poi, nel corso dell’allenamento, non è solo il Maestro che insegna agli allievi ma ogni atleta con cintura di grado superiore è tenuto a correggere gli errori che nota nel compagno meno esperto.
Questa modalità di incontro la sto trovando anche nel mio Circolo e mi sta aiutando a crescere in modo non indifferente.
Sovente mi sono trovato a giocare con qualcuno più esperto (diciamo che nei circoli si trovano facilmente persone veramente preparate che giocano a scacchi da anni e hanno anche esperienza di gara) e i loro consigli sono preziosi al pari di qualsiasi lezione teorica.
Un’altra realtà che non mi aspettavo di vedere è la forte partecipazione alla vita del circolo di bambini e/o ragazzi che, iniziando da piccoli, potranno sicuramente diventare dei giocatori molto forti da adulti.
Inutile dire che questa attenzione nei confronti dei bambini e ragazzi esiste anche nelle palestre dove si pratica il Judo.
Negli scacchi poi esiste molta teoria, con lo studio approfondito delle aperture, del medio gioco e dei finali e poco viene lasciato al caso (anche se naturalmente il giocatore esperto saprà creare qualche cosa di nuovo nel corso di una partita).
Nel Judo la realtà è simile in quanto esiste uno studio approfondito delle tecniche di attacco, di quelle in combinazione, delle contro tecniche e della difesa.
L’atleta di Judo normalmente segue una sua strategia e, nel corso del combattimento, cerca di preparare il terreno per mettere in atto il suo Tokui-waza (ovvero la tecnica preferita, il suo speciale). 
Naturalmente più l’atleta è esperto e maggiore sarà il bagaglio di conoscenze che lo porteranno a vincere seguendo anche il suo istinto.
Lo stesso accade negli scacchi in quanto sono ben forti i concetti di strategia e tattica.
Molto conta anche il lato psicologico che è fondamentale sia nel Judo che nel gioco degli scacchi.
Nel Judo più l’atleta è esperto e maggiore è la sua percezione della psicologia dell’avversario. Questo potrà tornargli utile nel corso del combattimento per capire non solo con quale tecnica attaccare ma anche il giusto momento e le falle nella difesa avversaria.
Niente di più simile di quello che accade quando ci si siede di fronte a una scacchiera.
Un’ultima considerazione desidero farla circa la resa.
Infatti l’obiettivo del combattimento e quello principalmente di proiettare l’avversario facendolo cadere con la schiena sul tatami ottenendo una vittoria immediata (esistono comunque anche dei punteggi intermedi) ma si può vincere anche attraverso le cosiddette tecniche di controllo.
Le tecniche di controllo consistono in una immobilizzazione al suolo o “presa” (osae komi waza), una tecnica di lussazione o “leva” sul gomito (kansetsu waza) o uno strangolamento (shime waza).
In questo caso ho notato una differenza tra le due discipline nel senso che spesso anche grandi giocatori di scacchi, quando ritengono di non poter più proseguire il gioco, lo abbandonano dichiarandosi sconfitti tramite la resa.
Nel Judo, invece, la resa è praticamente immediata quando si sta subendo una tecnica di lussazione o “leva” sul gomito (kansetsu waza) o uno strangolamento (shime waza).
Nessuno vuole che gli atleti si procurino danni e quindi chi sta subendo una leva articolare oppure uno strangolamento potrà (anzi dovrà) battere due volte la mano sul tatami (oppure anche con il piede se gli arti superiori sono bloccati) o anche o dicendo maitta, che in giapponese significa "mi arrendo"
Per quanto riguarda invece l’immobilizzazione al suolo, l’atleta ha un certo numero di secondi per cercare di liberarsi e sono frequenti i ribaltamenti di fronte proprio in questa fase del combattimento dove da immobilizzato si può diventare colui che immobilizza.
È per questo che faccio un po’ di fatica a concepire la resa negli scacchi in quanto vi sono molte opportunità per arrivare a una patta ad esempio per stallo oppure per ripetizione di mosse o anche per scacco perpetuo.
Certo, se si fronteggia un avversario esperto sarà ben difficile indurlo nell’errore ma ritengo, a mio modesto avviso, che potrebbe sempre valere la pena tentare.
Spero che queste mie riflessioni siano gradite e attendo volentieri dei commenti costruttivi per crescere sempre di più nel mondo degli scacchi.

Stefano Innocentini

mercoledì 5 giugno 2019

DANNI ARBITRALI


Una disciplina sportiva vale quanto valgono gli arbitri che ne dirigono l'attività anche perché senza regole e senza arbitri che le facciano vivere non c’è, letteralmente, disciplina sportiva.

Per far questo occorre creare una classe arbitrale in grado di dare credibilità alla competizione sportiva. 

L'arbitraggio, infatti, consiste nel verificare prima l'attitudine (propria) che permette di arbitrare il proprio figlio, il proprio amico o il proprio allievo senza favorirlo. né danneggiarlo.

Questa capacità deve prevedere un’alta qualità tecnica, ma anche grande qualità morale, senza le quali qualsiasi arbitro è destinato a perdere serenità e sicurezza.

In questa fattispecie possono esservi ottimi arbitri, naturalmente dotati di autorevolezza, velocità di giudizio, padronanza tecnica e arbitri inesperti ma moralmente dotati e, dunque, comunque destinati a diventare bravi arbitri

C’è poi la fattispecie di arbitro di scarsa personalità, di solito compiacente verso "le personalità" , che favorisce certi atleti danneggiando gli altri.

Tali arbitri sono il vero danno delle discipline che sono chiamati a dirigere. Talvolta sono persino dotati tecnicamente, e perciò ancora più censurabili, perché oltre a danneggiare l'intero movimento danneggiano atleti che si allenano duramente e che dovrebbero essere giudicati con serenità.

Evidentemente questi giudici/arbitri non hanno mai versato una stilla di sudore sopra un campo, una palestra, un tatami e non conoscono il valore morale dello sport e sicuramente nella vita civile fuori dello sport. Inaffidabili come cittadini, come arbitri e dunque come uomini.

Compito delle Federazioni è quello di rivolgere particolare attenzione a questo movimento e le commissioni che sono chiamate a istruire e a creare gli elenchi che solitamente sono divisi in regionali, nazionali e internazionali hanno il dovere di verificarne la capacità, l’onestà e la volontà di migliorarsi isolando e via via escludendo coloro che non riescono a migliorarsi o che non danno prova di rettitudine.

Il compito dovrebbe riguardare anche i comitati regionali che hanno il polso di tutti gli arbitri/giudici che lavorano in regione.

Sempre le qualificazioni per le finali nazionali passano attraverso il giudizio degli arbitri regionali e non mi è mai capitato di vedere i commissari che sono preposti a formare, correggere o sovvertire giudizi errati o addirittura falsati. Capisco che le aree di combattimento sono molte e una persona sola non può arrivare dappertutto, comunque non credo che un commissario di gara esperto e attento non si crei un giudizio su quelli cui è chiamato ad osservare e bisognerebbe impedire a coloro che non ne hanno la qualità di fare carriera coperti da dirigenti compiacenti.
 Ovviamente nelle finali nazionali dove la tecnologia dà un supporto i giudizi sono molto più aderenti (non sempre) a quanto si è visto sul tatami ma questo sistema deresponsabilizza in parte l'arbitro e nè limita la crescita ma penso che a visionare quanto è accaduto sarebbe diritto degli allenatori di essere chiamati senza diritto di commento davanti al monitor.

19/10/2012

IL RONIN
A.D.F

M° Alberto di Francia.
7° dan di Judo
Maestro benemerito
Medaglia d’onore al merito sportivo
Stella CONI  al merito sportivo
Azzurro di Judo
Membro d’onore della FIJLKAM riconoscimento ottenuto per acclamazione nella Assemblea Nazionale della FIJLKAM.

giovedì 30 maggio 2019

I PIACERI DELLA TAVOLA: POLPETTE A BRURICEDDU

I PIACERI DELLA TAVOLA

A cura di Elisabetta Giannini

POLPETTE A BRURICEDDU

Ingredienti (4 persone):
300 gr. di ceci secchi;
300 gr. di carne di vitello macinata; 60 gr. di caciocavallo;
3 cucchiai di pangrattato; 1 ciuffetto di prezzemolo; 1 uovo;
2 carote;
1 costa di sedano;
1,2 l di brodo di carne; olio di oliva extravergine; sale e pepe.

Procedimento:

La sera prima mettete in ammollo i ceci. Il giorno dopo riducete le carote e il sedano a pezzetti e fateli ammorbidire in un ampia casseruola con un filo d’olio. Versate il brodo e cuocete per almeno 1 ora e mezza, o finche i ceci saranno morbidi. A fine cottura aggiustate di sale.
Nel fra tempo mescolate la carne di vitello con l’uovo, il pangrattato, il formaggio grattugiato e il prezzemolo tritato. Regolare di sale e pepe e formate con le mani circa 24 polpettine poco più grandi di una noce.
Quando la zuppa sarà pronta, tuffate le polpettine nel brodo bollente e fatele cuocere 10-15 minuti. Servitele calde, completando a piacere con altro prezzemolo, caciocavallo e una manciata di pepe.

RUBRICA DI CINEMA E CULTURA VARIA: I FIGLI DEL FIUME GIALLO

Jia Zhangke, già acclamato auto- re di “Al di là delle montagne” e del Leone D’Oro per “Still Life”, continua nel suo nuovo film la ricerca sui cambiamenti della Ci-na. 
Il film si apre nel 2001 e si chiude nel 2018; racconta la storia di Qiao una ballerina innamorata di un gangster, Bin (interpretato da Liao Fan), che, trovandosi coinvolta in un combattimento tra bande locali, per difenderlo spara un colpo di pistola. 
Per questo finirà cinque anni in carcere, la detenzione delle armi è proibita. Dopo il suo rilascio Qiao cercherà Bin per riprendere la sua vita con lui ma niente è rimasto come prima.
In questo lasso di tempo la Cina ha continuato ad attraversare trasformazioni epiche e drammatiche, sentiamo cosa dice il regista:” Ho immaginato una donna nata e cresciuta nella mia città natale, in una regione mineraria nel nordovest della Cina. Il suo nome è Qiaoqiao (“Qiao” come diminutivo) e si innamora di un tizio appartenente al jianghu. 
Il loro tormentato amore sarebbe stato l'inizio della storia. Nel 2006, raggiungono l'età matura e l'uomo parte per la regione delle Tre Gole. Lei lo segue, ma il loro rapporto si è incrinato”….” 
Ho preso a prestito il titolo  cinese del film JIANGHU ERNÜ (“Figli e figlie del Jianghu”) dall'ultimo progetto di Fei Mu, il maestro del cinema cinese attivo negli anni 1930 e 1940”. Il titolo cinese dice quasi tutto. La coppia del film vive ai margini della società. Sopravvive sfidando l'ordine sociale convenzionale: un mondo di individui che osano sfidare l'ordine costituito e che vivono secondo i principi morali della bontà e dell'ostilità, dell'amore e dell'odio.
Jia Zhangke ha utilizzato scene girate negli anni; all’inizio l’interessante inquadratura delle persone sull’autobus ha addirittura un formato diverso e ben ci immette nel 2001; anche alcune scene di paesaggi nella parte centrale del film sono state precedentemente girate dal regista e inserite per mostrare un’epoca che non esiste più, per regalarci uno spaccato reale dei cambiamenti avvenuti in circa un ventennio.
Film lento, che lascia l’amaro in bocca, cresce nei giorni a venire e s’insinua sotto pelle. Non sarà che non solo la Cina ha fatto cambiamenti “disumani” ? La società, in genere, costringe a ritmi e tempi che non fanno stare bene. Tutti rincorriamo qualcosa di cui forse non abbiamo un reale bisogno.
Non possiamo che essere d’accordo coll’importante regista: “Non siamo in grado di separarci dai nostri legami emotivi, dai nostri amori, dai nostri ricordi e dalle nostre abitudini che ci impediscono di volare alto. Questi legami sono come la forza di gravità che ci inchioda sulla terra e ci preclude la possibilità di andare nello spazio. Una forza di gravità emotiva che ci mantiene saldamente legati ai nostri rapporti sociali e ci impedisce di andarcene liberamente. E quando lottiamo per liberarci, il risultato si riflette nella nostra dignità di esseri umani”. La pellicola, allora si riavvolge su se stessa per torna- re alle visioni e ai luoghi prece- denti: la donna ora è padrona del locale dove in passato primeggia- va Bin, ma non funziona così: l’amore nasce dall’essere se stessi.
Forse Qiao, interpretata dalla grande attrice Zaho Tao, che nel 2012, è stata protagonista del film di Andrea Segre IO SONO LÌ ( vincendo il David di Donatello come Miglior attrice protagonista, premio attribuito per la prima volta ad una attrice) sta anche  ad impersonare la donna che non ha saputo emanciparsi secondo una propria visione del mondo, senza seguire le orme inappropriate, in questo caso proprio sbagliate, del maschio. 
A Qiao, uscita di prigione, si presenta una alternativa, ma lei non la coglie, non coglie l’opportunità di cambiare per un ostinato orgoglio, secondo il quale deve dimostrare ad altri di diventare quello che immagina che farà loro piacere.

Antonella D’Ambrosio

lunedì 15 aprile 2019

MIO FRATELLO È FIGLIO UNICO. FRATELLI, SORELLE, FAMIGLIE DI PERSONE CON DISABILITÀ

Io non ho avuto le prime informazioni dai miei genitori. 
Loro hanno sempre trattato Andrea come una persona "normale". 
Come me. 
E per me Andrea era una persona normale. 
Era diverso da me, ma io non notavo la sua disabilità
Noi dormivamo nella stessa camera e condividevamo gesti molto intimi come ad esempio chiamare la mamma di notte se avevamo bisogno di lei, dire buonanotte o buongiorno, andare a letto e svegliarsi. Io non notavo assolutamente la sua disabilità. E' stata la gente a farmi notare questa disabilità. E soprattutto gli amici quando ho iniziato la scuola. Mi ricordo bene una cosa.

A una certa età si iniziano a invitare gli amici a casa per fare i compiti dopo la scuola oppure per la festa di compleanno. Quando venivano a casa mia, spesso cercavano una scusa per andare via. 
A quel punto ho iniziato a chiedermi perché. Però ho capito il motivo solo dopo tanto tempo. 
Prima pensavo veramente che loro avessero degli impegni improvvisi. Dopo ho capito che non era così. 
Io uscivo molto spesso con mio fratello. E vedevo che la gente si fermava a guardarlo. Soprattutto gli adulti lo guardavano con paura. Invece i bambini di solito sono attirati dalla diversità. 
Quando mio fratello si avvicinava i genitori si preoccupavano. I genitori chiamavano i bimbi per farli allontanare. Perché quella cosa che si muoveva sulla sedia a rotelle era strana. Quindi i genitori venivano a portare via i bambini con la forza. 
La società mi ha fatto scoprire la disabilità. 
Quando Agnese è nata io avevo sei anni. Non mi sono mai accorta che Agnese avesse la sindrome di down o qualcosa che non andava. Per me era mia sorella e basta. Come tutte le altre sorelle. Non ricordo neanche la parola "sindrome di down".

Mi dicevano sempre che dovevo stare molto vicina a lei, che lei aveva bisogno di più aiuto. Ma la parola "sindrome di down" non fa parte della mia infanzia. 
Mi ricordo delle persone che venivano a fare delle foto o dei video a lei. E io mi chiedevo perché. Perché io no e lei sì? Ma per me era dovuto al fatto che lei aveva bisogno di più aiuto. Alla fine mi divertivo perché nei video c'ero anche io.

Riguardavamo i video insieme e c'ero anche io. La facevo giocare, ridere, e anche io ero un po' la protagonista. Quando è nata lei io non sono stata messa da parte però tutta la famiglia era concentrata su di lei. Ma io mi sono sempre sentita al centro dell'attenzione perché mi dicevano che lei aveva bisogno di me. 
Forse, senza il mio aiuto, le cose non sarebbero andate così e io per questo motivo mi sono sempre sentita importante. 
Mi sembra che non siano stati i miei genitori a dirmelo ma credo che sia successo poco tempo dopo la nascita. Non esisteva l'amniocentesi e queste malattie genetiche erano difficili da capire. 
Qualche giorno dopo il parto la pediatra amica di mia madre se n'è accorta e glielo ha comunicato. Quindi non sono stati i miei genitori a comunicarmi questa cosa. Però a dire la verità ho qualche dubbio. Mi ricordo che mi è stato detto senza fare nessuna tragedia. Mi hanno parlato del problema di Caterina facendo un paragone con persone che avevano lo stesso problema. 
Persone più grandi che io già conoscevo. Ad esempio mi dicevano "Caterina è nata lo stesso problema di Alessandro". Questo è il modo in cui io ho saputo questa cosa.

Invece il caso di Maria non era un problema specifico. Quindi non c'era una diagnosi fatta alla nascita. E' stata una serie di eventi. 
Mia madre ha dovuto partorire in modo improvviso. Quando Maria è nata, noi sapevamo che lei era nel reparto di neonatologia. Era in terapia intensiva. Poi abbiamo saputo i progressi che faceva. Mia madre ce ne parlava quando tornava a casa. Certo, ci diceva le cose che potevamo capire. Io avevo 17-18 anni. Lei ci parlava e ci diceva quale era la situazione. Mi ricordo che c'erano dei momenti difficili. In quei momenti non sapevamo se Maria ce l'avrebbe fatta o no. 
Poi Maria è tornata a casa ed era una bambina normale. Era una neonata normale. Il suo ritardo è arrivato con il tempo. Quindi abbiamo scoperto i suoi problemi piano piano. 
Problemi seri e gravi perché sono problemi grandi. 
Quando era piccola Maria era molto bella. Anche adesso Maria è una ragazzina molto bella. Abbiamo imparato a conoscere il suo ritardo piano piano, nel tempo. Perché sono due difficoltà molto diverse tra loro. Io non ricordo. Avevo sei anni, ero piccola. Non ricordo che i miei genitori mi abbiano detto che Francesca era down.

O che fosse dovuta alla trisomia 21 e avesse certi sintomi. No, non ricordo questo discorso. Però, se disabilità vuol dire anche diversità oppure anche particolarità allora questo discorso era molto chiaro con Francesca. La sindrome di down è una disabilità molto evidente. Appena vedi Francesca, si capisce subito la sua disabilità. Non è una disabilità psichica che è più difficile da capire. La nostra casa era frequentata molto anche da Claudio Imprudente. Quindi il tema della diversità era già presente.

La parola "disabile" non è una parola molto bella. Ma avere un "disabile" in famiglia non era una cosa tanto strana. E per questo non le davamo una attenzione particolare. Anche io ero diventata emarginata a scuola. Sì. Non ho ancora superato questa cosa. Non so dire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Non me lo sono chiesto. Ho fatto solo quello che mi sembrava giusto.

Ho seguito i miei pensieri. E ho seguito la mia personalità. Io sono entrata nel suo mondo. Sì, è stato proprio così. Alla fine i miei amici erano diventati i suoi amici. Anche se c'era molta differenza di età. Soprattutto nell'adolescenza io mi rendevo conto che mi sentivo molto sola. 
Mamma doveva stare con Andrea tutto il giorno e quando io studiavo a scuola Andrea era all'Università e studiava filosofia. 
Infatti questa è stata la sua prima laurea. Quindi tutti i pomeriggi mamma era in salotto con Andrea. Lei leggeva e Andrea riceveva a livello mnemonico tutte le informazioni del libro. E studiavano così. 
Però per me non c'era posto. Per Katia spesso non c'era posto. E io mi sentivo un po' sola. Questo è vero, e a volte c'è stato un po' di conflitto. Dicevo che Andrea era egoista perché aveva avuto mamma per sé. Adesso siamo adulti e a volte ne parliamo ancora. E ne parliamo con tranquillità. Le cose erano così e non si potevano cambiare. Certo, la figura materna comunque mi è mancata. Perché quando si è bambini c'è bisogno di una figura materna e di una figura paterna.

Per papà era diverso. Lui lavorava tantissimo. Lavorava fuori Bologna. Tornava tardi e usciva prestissimo. Mamma non lavorava per stare con Andrea e quindi stava a casa. E stava tutto il giorno con lui. Quando uscivo da scuola tutti i genitori venivano a prendere i bambini. 
Invece io dovevo prendere lo zaino e tornare a casa da sola e dovevo stare attenta ad attraversare la strada. Quindi sicuramente io ho sentito la mancanza della mia mamma. Forse è una mia impressione però credo che la nonna da un certo punto in poi per me non c'è stata più. 
Esisteva solo Agnese. 
Agnese aveva bisogno di lei. 
Però era diverso con mia nonna. 
I miei genitori mi coinvolgevano sempre. Io non ho mai detto questa cosa ai miei genitori. Ma l'ho sentita molto. Però ormai per questa nonna io ero diventata grande e quindi, secondo lei, non avevo più bisogno della nonna. 
Agnese aveva bisogno di lei e io ero messa da parte. I miei genitori sono stati bravi. Mi hanno fatto sentire responsabile. Il mio compito era stare vicino ad Agnese ed aiutarla e io mi sono impegnata per questo. Ho sofferto più la nascita di mio fratello Andrea che la nascita delle mie sorelle. 
Quando è nata Caterina mia madre ha scelto di restare a casa. Penso che queste scelta non sia dovuta solo a quella situazione.

Penso che i motivi siano tanti. 
Magari mia madre non aveva un lavoro molto gratificante e quindi è stata molto presente in casa. 
Pertanto non ho sentito una mancanza di attenzioni da parte di mia lei. Almeno così ho sentito le cose. 
Forse avevo già superato la nascita degli altri fratelli. 
Quindi già avevo perso l'esclusiva dei miei genitori. 
Maria è nata quando io ero quasi maggiorenne e la presenza dei miei genitori era già meno assillante. 
Di conseguenza era ancora meglio. 
In quella età non vuoi avere i genitori troppo presenti perché pensi a fare altre cose. 
Quindi non ho risentito di questo distacco in modo particolare e non ho sentito delle attenzioni in meno. 
Se ci sono state delle mancanze io le ho accettate tranquillamente. 
Se ci sono state delle mancanze, non ne ho risentito e se ci sono state mancanze, le ho accettate.

In quel momento le mie sorelle avevano più bisogno di attenzioni. 
La prima volta che l'ho vista lei stava in una stanza e stava per terra. 
Lei non gattonava, strisciava con le mani e portava degli occhiali. 
E' stato un incontro molto particolare. 
E' l'incontro con un fratello: sai che quella persona farà parte della tua vita. 
Ripensandoci, credo che io fui molto titubante forse perché lei è femmina e io sono maschio. 
E anche perché mi sembrava come una intromissione. 
Un'altra sorella nella famiglia... 
A quell'epoca i due figli eravamo io e Silvia. 
Poi dopo è nata Francesca. E siamo tre maschi e tre femmine: Tantissimi! 
E forse anche dopo per i rapporti che si sono creati...

All'interno della famiglia forse io sono la persona che ha la relazione meno intima con Francesca. 
Invece Silvia ha il rapporto migliore con lei. 
Forse questo capita in tutte le famiglie. 
Nelle famiglie numerose non c'è lo stesso rapporto tra tutti i figli: tra alcuni figli ci sono delle simpatie maggiori mentre tra altri figli ci sono meno affinità. 
Quindi questo è capitato con Francesca. 
Questo può essere dovuto anche a una sua caratteristica perché Francesca è molto socievole. 
Quando torna a casa da lavorare viene da me e mi saluta. 
Mi dice "Ciao Pippo, come stai ?" Invece io sono più orso, e le dico "Basta, dai, Francesca. Vai via." 
Molta responsabilità. 
E pago ancora le conseguenze. Io mi sento molto in colpa verso Andrea. Se non riesco a fare una cosa, mi sento in colpa. Perché... Perché io sapevo che i miei genitori contavano su di me.

Anche in futuro, quando loro non ci sarebbero più stati. 
Perché io avevo gambe e braccia e quello che Andrea non aveva. Contavano su di me per proteggerlo. Ogni cosa che non sono riuscita o non riesco a fare. Beh, mi sento molto in colpa. 
Ho perso molti fidanzati. Dopo è arrivata una fase nuova. 
Mia madre è morta e io avevo appena fatto 18 anni. 
Si è ammalata quando io avevo 16 anni. 
Quindi ho vissuto poco l'adolescenza. 
Non avevo amiche. Non avevo amiche e non uscivo. 
E io... Io esistevo per Andrea. Dovevo sempre guardare Andrea. Quando lui è andato a vivere a Paderno io ero ancora giovane.

Quando lui è andato via di casa, mi pare che io avessi 17 anni. 
Però quando uscivo, era solo per andare da Andrea. E il primo fidanzatino non poteva accettare queste cose. Le altre ragazze andavano in discoteca oppure al cinema o a mangiare una pizza. 
Io quando uscivo dovevo andare da Andrea. Sono proprio cresciuta con questa cosa. 
Non ho seguito le mie idee. Ho seguito quello che i miei genitori avrebbero voluto. Per il bene di Andrea, ma sono felice di averlo fatto. Ho portato pochi fidanzati a casa. Pochi, perché all'inizio c'era un po' di paura. Non sapevo come sarebbe andata. Sicuramente c'era un po' di paura. Mi chiedevo cosa avrebbe pensato il mio ragazzo di mia sorella. Però sono stati tutti bravi! 
L'hanno sempre accettata così. Dopo due o tre incontri si abituavano al fatto che lei fosse disabile. E dopo io non ho più avuto nessun problema. Io sono il fratellone maggiore e quindi lei mi ascolta. Mi ascolta molto ed è bello. A me piace parlare.

A volte mi manda messaggi oppure mi chiede dei consigli. A lei piace molto il calcio e il cinema, è appassionata di Totti. Sul film "Sognando Beckham" magari mi chiede: "Come posso diventare brava come lei ?" Quindi sono il suo fratello maggiore. Ed è un rapporto molto bello. Con Maria la situazione è un po' più difficile. Diciamo che il nostro rapporto è un rapporto più "di cura" quando lei ne ha bisogno.

Devo premettere che io non vivo più con loro. 
Quindi ho la mia famiglia. 
Con Caterina quando ci vediamo c'è un rapporto fratello-sorella. 
Prima che nascessero i miei figli una volta all'anno i miei genitori cercavano di prendersi del tempo per una piccola vacanza. 
E io stavo con Maria per 2-3 settimane. Ed era un rapporto molto intenso. 
Uscivo sfinito da quelle settimane con mia sorella. Mi accorgevo davvero di quanto è grande mia madre! Francesca non mi ha mai dato problemi con gli amici. Mai, forse perché abito e vivo in un contesto particolare. La comunità Maranà-tha
E quindi visto che io sono in questa comunità e vivo in un contesto particolare è normale che nella mia famiglia ci siano dei familiari particolari. 
E poi la mia vita amicale è stata condivisa all'interno della comunità. La vivevo nella mia famiglia. I miei amici venivano a trovarmi.

Spesso gli amici si fermavano a guardare un film. 
Venivano a mangiare la pizza quando c'erano delle feste. 
Venivano al mio compleanno e Francesca era presente. 
La sua presenza non ha mai creato problemi. 
Non si è mai creata nessuna conflittualità. Quando esco con i miei amici, Francesca non viene, esco solo io. Mi rendo conto che siamo molto legati, soprattutto io. E per il futuro mi rendo conto che siamo così legati o abbiamo un legame così morboso che non penso al futuro perché ho tanta paura perdere Andrea. 
Questa è la situazione. Io dico sempre che spero di morire prima di lui. Se dovesse andarsene prima lui per me sarebbe molto difficile. Molto, molto. 
Il presente? Lo vivo con molti sensi di colpa.

Perché faccio un lavoro impegnativo e lavoro tantissimo. 
Vivo da sola e quindi più lavoro, più guadagno e meglio è. Quindi adesso non posso dedicargli lo stesso tempo che davo nel passato. Per lui io ci sono sempre, l'anno scorso ero con lui a Milano per un ricovero. 
Quindi per questioni di salute io voglio sempre essere con lui. 
Vado a trovarlo spesso. Però sicuramente non faccio le stesse cose di prima. 
Il mio futuro? Me lo immagino in una casa in campagna. Vorrei una casa in campagna e mio marito vorrebbe fare il contadino. 
Se penso a mia sorella, questo futuro cambia. Finché i miei genitori sono vivi e stanno bene.
Speriamo a lungo! So che vogliono creare un ambiente particolare per lei. E spero che ci riescano. Altrimenti mia sorella starà comunque con noi. Perché non voglio lasciarla completamente da sola. Magari lei starà in un appartamento o in una casa vicino a noi.

I miei genitori vorrebbero prendere una casa per lei magari con un aiuto. 
Ma secondo me non è ancora il momento giusto. 
Io non ci riuscirei. 
So che teoricamente è giusto così. Però sinceramente io non ci riuscirei. 
Mi immagino una casa molto grande con un pezzo di casa per loro. Dico 'loro' perché sicuramente ci sarà anche Riccardo, il suo ragazzo. 
Sono fidanzati da sette anni. I nostri genitori non ci hanno inculcato il senso di rispetto per le nostre sorelle. Ma parlando con gli altri fratelli che sono stati più fortunati tutti vogliamo prenderci cura di loro. Rispetto a Francesca, non ho un'idea definita di cosa lei farà nel futuro. E soprattutto di come saremo noi.

Forse noi siamo tanti in famiglia e questo rende le cose più facili. 
Essendo in tanti... Diciamo che... Io non mi devo preoccupare da solo del suo futuro. O di quello che lei farà da grande. Non sento assolutamente il suo futuro sulle mie spalle. Se io non la accoglierò in casa mia quando un giorno sarò sposato lei non finirà sotto un ponte. Penso che con il tempo si creeranno dei rapporti e delle opportunità. In base alla famiglia e all'ambiente che si frequenta e in base a come lei crescerà. Non so cosa Francesca farà nel futuro. 
Magari un giorno abiterà da sola in un appartamento. 
Magari ci vedremo la domenica per mangiare insieme
Oppure in settimana. Forse lei abiterà da sola o vicino a me. Lui ha influenzato la mia vita. Ma io non farei a meno di lui.

Io ho passato dei momenti molto difficili. Però rifarei tutto, completamente. Tutto, completamente. Se mi dicessero "Vuoi un fratello normale?" Poi bisogna vedere che cosa significa normale... Direi di sì per lui. Ma direi di no per me. 

SOTTOTITOLAZIONE A CURA DI CULTURABILE ONLUS .


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lunedì 8 aprile 2019

ELEZIONI DEL CONSIGLIO SUPERIORE DEL MIBAC

ELEZIONI DEL CONSIGLIO SUPERIORE DEL MIBAC 
LA CONFSAL-UNSA PROPONE IL PROPRIO PROGRAMMA

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

PROMOZIONE DELLA LISTA CONFSAL-UNSA SUI TERRITORI

Eccoci giunti a distanza di ben 4 anni ad un appuntamento rilevante, infatti, si sta avvicinando un momento che ritengo molto importante per la nostra organizzazione, impegnata a consolidare il ruolo di primo piano assunto in questi anni sia a livello di relazioni sindacali nazionali che a livello di singole amministrazioni.

Mi riferisco alle elezioni dei rappresentanti dei lavoratori nel Consiglio Superiore del Ministero dei Beni Culturali, che si svolgeranno il 9, 10 e 11 aprile 2019. 

Pertanto, riteniamo fondamentale che ognuno per la propria parte svolga un ruolo di sostegno alla Lista Confsal-UNSA, che deve essere prioritario rispetto ad ogni altra iniziativa sindacale.

Al fine di facilitare una sinergia delle forze, i responsabili sindacali dell’UNSA sono invitati a contattare il Coordinamento Beni Culturali per le informazioni aggiornate riguardo le procedure elettorali, che come è noto avverranno in modo telematico.

Infatti, questa tornata elettorale è un’occasione molto importante per dare continuità al ruolo di protagonista che l’UNSA sta svolgendo sul piano sindacale in questi anni.

Proprio per questi motivi e per raggiungere il massimo risultato elettorale, dobbiamo impegnarci, provincia per provincia, affinché si possa raggiungere l’obbiettivo e solo rimboccandosi le maniche, giorno per giorno, potremo continuare a costruire un’UNSA capace di essere la vera e sola alternativa sindacale, al di là degli sforzi incongruenti dei soliti sindacalisti presenti nel settore.

LETTERA APERTA A TUTTI I LAVORATORI DEL MIBAC

Per queste elezioni, il Coordinamento Nazionale beni Culturali, ha proceduto a predisporre tutti gli adempimenti per le elezioni dei tre rappresentanti del personale nel Consiglio Superiore Beni Culturali e Paesaggistici del MiBAC del 9, 10 e 11 aprile 2019.

Una grande responsabilità impegna in questo momento l’intera Organizzazione sindacale a sostegno della lista e dei candidati Confsal-UNSA.

Cruciale sarà l’appuntamento di questa tornata elettorale, che contrariamente al passato, abbiamo ritenuto di doverci impegnare fino in fondo, dal momento che nell'ambito del Ministero, ricopriamo un ruolo fondamentale a difesa dei dipendenti e del personale rappresentato.

Innanzitutto, perché il voto per questo Consiglio superiore rappresenta una decisiva opportunità per cercare di colmare le politiche errate dei vari ministri che si sono succeduti e dei massimi vertici amministrativi e comunque porre un argine ai già troppi danni e ai tanti sacrifici che ciò ha comportato al personale e alle strutture ministeriali interessate.

È dunque fondamentale ritrovare insieme il senso profondo del nostro impegno e sentirsi tutti chiamati, nelle piccole e nelle grandi realtà del ministero, a consolidare con il consenso questa voglia di futuro che soprattutto dopo svariate riforme a vuoto a perdere, siamo ancora costretti a subire.

Il Coordinamento nazionale Beni Culturali, insieme a i tre candidati della lista Confsal-Unsa, intende promuovere ogni sforzo in sinergia con i Responsabili territoriali e i Rappresentanti sindacali dei posti di lavoro per rendere questa campagna elettorale una occasione in più per mettere in primo piano i bisogni, le attese e le speranze dei lavoratori del MiBAC. 

Diverse iniziative vedranno impegnata la Segreteria Nazionale nei prossimi giorni a cominciare dal sostegno concreto all'apertura della campagna elettorale e al rafforzamento dell'attività sindacale in favore di tutto il personale.

PERCHÉ VOTARE LA CONFSAL-UNSA

Per meglio rendere l’idea sull’operato del Coordinamento Nazionale Confsal-Unsa MiBAC, si ritiene utile elencare gli impegni assunti in questa fase così delicata e alquanto strategica per il nostro sindacato:

- Per la difesa della professionalità e la specificità del MiBAC e opposizione intransigente alle cattive riforme repentine dei Ministri che si sono succeduti negli anni addietro;

- Per il mantenimento del ruolo strategico e preponderante delle Soprintendenze sul territorio per la tutela, fruizione e conservazione e valorizzazione dei Beni Culturali;

- Per l’ampliamento delle dotazioni organiche e all’attuazione dello scorrimento delle graduatorie riguardanti i passaggi di area dando la possibilità definitiva a tutti gli idonei di vedersi riconosciuta la dovuta riqualificazione;

- Per nuove prospettive contrattuali e progressioni economiche nonché risorse aggiuntive per rendere giustizia ai tanti esclusi della passata tornata: il tutto dovrà essere effettuato con dei fondi “ad hoc” senza intaccare la produttività;

- Per l’ampliamento delle risorse economiche da destinare al salario accessorio e regolarità nei pagamenti;

- Per la rivalutazione del ruolo professionale del personale del MiBAC e riqualificazione continua per tutti i lavoratori e riconoscimento economico delle forme di partecipazione all’organizzazione del lavoro dei servizi istituzionali;

- Per la revisione di alcuni profili professionali e consolidamento dell’attuale sistema professionale in aderenza alle mutate esigenze del MiBAC, al fine di evitare la standardizzazione e la generalità dei ruoli professionali a scapito delle figure professionali emergenti e quelle ben individuate nell’ordinamento professionale del Ministero;

- Per procedere alla flessibilità orizzontale dei profili professionali, rispetto al coinvolgimento dei lavoratori che da anni pur essendo inquadrati nell’ambito di una qualifica, hanno di fatto svolto mansioni diverse non preminenti in una funzione di altra qualifica;

- Per l’elaborazione di linee guida atte a salvaguardare gli interessi dei lavoratori nell’alveolo dei diritti sindacali per la stesura del Contratto Collettivo Integrativo di Ministero secondo i dettami del CCNL e le norme fondamentali che disciplinano la materia del lavoro, con particole attenzione alla sicurezza e salubrità dei luoghi di lavoro e della incolumità dei lavoratori.

- Ad ogni modo, per meglio conoscere i nostri candidati si invita il lettore a dare una sguardo al profilo di ogni singolo candidato pubblicato nelle pagine seguenti.

 IL SEGRETARIO NAZIONALE
CONFSAL-UNSA BENI CULTURALI
       Dott. Giuseppe Urbino


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domenica 7 aprile 2019

TRUE LOVE IN JAPAN: THE STORY OF KAKUTA HIROKATSU



Today we will tell you the story of Hirokatsu, about his love that lasted until death. 
Sumo, is a very famous, japanese art, the people that practice this art, must do a very hard program, since childhood it's not only a fight, but they choose it as part of their lives. Hirokatsu started to practice Sumo, since middle school thanks to his continuos effort he became a professional Sumo wrestler, but without becoming famous. 


He was 20 years old, when he met a girl at the same age the two of them fall in love immediatly, but the shyness of Hirokatsu and his constat Sumo practice, they couldn't always be together. 
Although the girl did accompany him in his tournament, and she said to him, that she wants to marry him, the two of them decided to wait for love. She was 20, when she visited a tournament, where he lost.

Before saying goodbye, she said to him, that she will return to Osaka, with her parents that travelled with her. He said that he will return back with he Shinkansen (high speed train) from Osaka to Tokyo he promised her, that he will call right when he arrives back home, in Tokyo. But that call never arrived. His mates watched TV in the hall, during the retreat, when the news of a plane crashing came, the one flying from Osaka to Tokyo, 520 where the passenger, a lot of them where dead and a lot of them where missing. They said the names, so that the population knew who was missing, and they also the identification of the cadavers The names of the girl and her parents where announced The mates ran to Hirokatsu, and he couldn't believe it.

He said that his girl took he train and not the plane! 

So, he tried to call her, but she never answer the phone. 

After the identification of the body, Hirokatsu recieved her personal accessories and also an album of memories. The girl did collect all articles and pictures about her boyfriend, adding hope notes to the pictures, where he was on. Since that day, Hirokatsu did regret that he didn't married her, when there was the possibility.

From that day, every year at her birthday, he visited her grave.He dedicated all of his time in Sumo, so that he didn't feel the loss but he never became a champion.

He retired quite early, and he opened a restaurant in Osaka, because of a stroke, he lost almost all use of the word and he worked really hard to achieve an autonomous mobility but also with that problem, he never missed a year to visit the girl's grave every birthday he died alone at just 50 The girl was his first girlfriend, his first love and also the last one. 

Friends and old Sumo mates, did say that he looked happy, when he died Finally he could reunite with his love This is a true story! I know it sounds to romantic, but it's true that Hirokatsu loved his girlfriend, for all his life.

It was the year 1985, where true love still existed. 

Oggi vi narrerò la storia di Kakuta Hirokatsu e del suo amore durato oltre i confini della morte.

Il Sumo è un arte giapponese molto famosa e i suoi praticanti seguono uno stile di vita molto duro fin dai tempi delle scuole.  Non è solo un combattimento, è la scelta di una vita. 

Kakuta Hirokatsu inizia a seguire la via del Sumo durante le scuole medie e grazie al suo costante impegno già da giovanissimo divenne un lottatore professionista non raggiungendo tuttavia mai la fama.

Aveva quasi vent'anni quando conobbe una ragazza della stessa età e i due si innamorarono l'uno dell'altra immediatamente ma il carattere timido ed il costante e l'impegno profuso nel Sumo di Kakuta Hirokatsu impedirono ai due di stare spesso insieme nonostante la ragazza lo seguisse sovente nei suoi tornei e gli avesse dichiarato di volerlo sposare presto.

I due decisero di aspettare per coronare il loro amore. Lei aveva 20 anni esatti quando un giorno lo andò a trovare dopo un torneo che lui perse e durante il  periodo di riposo,  prima di salutarsi in modo che Kakuta Hirokatsu potesse tornare ai suoi allenamenti,  lei gli disse che sarebbe tornata Osaka coi genitori, anch'essi venuti in viaggio con lei e sarebbe tornata usando lo shinkansen il treno superveloce che collega Tokyo, dove lui si trovava, con Osaka. 

Gli promise di telefonargli appena arrivata a casa ma quella chiamata non giunse mai e i compagni di  Kakuta Hirokatsu stavano guardando la tv nella sala comune del ritiro quando giunse la notizia di un aereo sulla rotta a Tokyo -  Osaka precipitato tra le montagne.

520 erano i passeggeri, molti erano morti e altri, al momento dispersi. Vennero resi noti i nomi di modo che la popolazione aiutasse nelle ricerche e nell'identificazione dei cadaveri.

I nomi della ragazza e dei suoi genitori vennero annunciati. I compagni corsero da Kakuta Hirokatsu ma egli rifiutò di accettare la verità. La sua ragazza non aveva preso l'aereo, era sul treno. Provò e riprovò a telefonarle nessuno mai rispose alle sue chiamate.  Dopo l'identificazione dei corpi Kakuta Hirokatsu ricevette alcuni effetti personali della ragazza tra i quali un album di ricordi la giovane aveva collezionato.  Ogni articolo e  foto riguardante il suo fidanzato, scrivendo come noti i suoi sogni speranze i migliori auguri di riuscire nel suo sogno.

Kakuta Hirokatsu non si perdonò mai di non averla sposata quando ne aveva avuto la possibilità.

Ogni anno da allora visitò la di lei tomba nel luogo dell'incidente in concomitanza del compleanno della sua fidanzata e si impegnò  anima e corpo nel Sumo per non vanificare la perdita ma non divenne mai un campione.

Si ritirò piuttosto giovane aprendo un piccolo ristorante ad Osaka e, a causa di un ictus,  perse quasi del tutto l'autonomia.. Tuttavia non smise mai di presentarsi al cospetto del luogo dove la fanciulla era morta compleanno dopo compleanno.

Morì che aveva appena 50 anni e solo la giovane era stata la sua prima ragazza il suo primo amore ed era stata anche l'ultima.

Amici ed ex compagni del Sumo affermarono che da morto aveva un aspetto sereno; finalmente poteva ricongiungersi col suo amore.

Questa è una storia vera, certo qualcosa potrebbe essere stato romanzato ma è sicuro che Kakuta Hirokatsu abbia amato per tutta la vita la sua unica ragazza visitando ogni anno la sua tomba. 

Era il 1985 e ancora esisteva il vero amore.