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domenica 26 aprile 2020

IL NOME DELLA ROSA


In questi giorni di “riposo forzato” dovuto alle misure restrittive a seguito del rischio contagio dal virus Coviid-19, mi sto dedicando alla lettura (o, in alcuni casi rilettura) di numerosi libri tra i quali, il famosissimo romanzo di Umberto Eco “Il nome della rosa”, edito per la prima volta da Bompiani nel 1980.
Per chi non lo sapesse, l'opera è ambientata sul finire dell'anno 1327, e la vicenda narrata si svolge all'interno di un monastero benedettino del Piemonte ed è suddivisa in sette giornate, scandite dai ritmi della vita monastica.
Il romanzo è stato tradotto in oltre quaranta lingue con oltre cinquanta milioni di copie vendute in trent'anni e ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti.
Di questo romanzo è stato tratto un film nel 1986 diretto da Jean-Jacques Annaud e una recentissima serie televisiva in quattro puntate.
Proprio ieri pomeriggio, mentre lo leggevo, sono incappato in alcune pagine che mi hanno fatto riflettere non poco in quanto, con parole chiare e semplici, l’autore espone l’argomento della pedofilia all’interno dei monasteri.
A scanso di equivoci, desidero chiarire sin d’ora che io sono cattolico, credente e praticante (o almeno faccio il possibile per esserlo, con tutti i miei umani limiti).
Ma quando si parla di pedofilia nella chiesa mi trovo sinceramente spiazzato anche perché ritengo che un male così profondo debba essere estirpato alla radice. Soprattutto mi sono sempre chiesto, forse ingenuamente, come mai alcuni sacerdoti che non riescono a mantenere il voto di castità, si dedichino a una turpe pratica come questa piuttosto che andare a cercare un affetto o una sessualità con una donna.
Preferisco per il momento fermarmi qui e far parlare Umberto Eco citando un breve passo proprio tratto dal “Il Nome della Rosa”.
Saranno gradite opinioni e consigli che però, lo dico subito, dovranno comunque essere scritte nel pieno rispetto delle persone coinvolte e delle istituzioni. Non saranno accettate critiche o denunce nei confronti di persone specifiche (per questo ci sono le forze dell’ordine e i tribunali).
Ecco il passaggio che mi ha colpito:
“Berengario era consumato, ormai molti tra i monaci lo sapevano, da un’insana passione per Adelmo, la stessa passione i cui nefasti la collera divina aveva colpito a Sodoma e Gomorra.
Così Bencio si espresse, forse per riguardo alla mia giovane età.
Ma chi ha vissuto la propria adolescenza in un monastero sa che, ancorché si sia mantenuto casto, di tali passioni ha ben sentito parlare, e talora ha dovuto guardarsi dalle insidie di chi ne era schiavo.
Monacello com’ero non avevo già ricevuto io stesso, a Melk, da un monaco anziano, cartigli con versi che di solito un laico dedica a una donna?
I voti monacali ci tengono lontani da quella sentina di vizi che è il corpo della femmina, ma spesso ci conducono vicinissimi ad altri errori. Posso infine nascondermi che la mia stessa vecchiaia è ancora oggi agitata dal demone meridiano quando mi accade di attardare il mio sguardo, in coro, sul volto imberbe di un novizio, puro e fresco come fanciulla?
Dico queste cose non per mettere in dubbio la scelta che ho fatto di dedicarmi alla vita monastica, ma per giustificare l’errore di molti a cui questo santo fardello risulta pesante. Forse per giustificare il delitto orribile di Berengario.
Ma pare, secondo Bencio, che questo monaco coltivasse il suo vizio in modo ancora più ignobile, e cioè usando le armi del ricatto per ottenere da altri quanto la virtù e il decoro avrebbero dovuto sconsigliar loro di donare.
Dunque da tempo i monaci ironizzavano sugli sguardi teneri che Berengario lanciava ad Adelmo, che pare fosse di grande avvenenza.
Mentre Adelmo, totalmente innamorato del suo lavoro, dal quale soltanto pareva trarre diletto, poco si prendeva cura della passione di Berengario.
Ma forse, chi sa, egli ignorava che l’animo suo, nel profondo, lo inclinava alla stessa ignominia.
Fatto sta che Bencio disse di aver sorpreso un dialogo tra Adelmo e Berengario, in cui Berengario, alludendo a un segreto che Adelmo gli chiedeva di svelargli, gli proponeva il turpe mercato che anche il lettore più innocente può immaginare.
E pare che Bencio udisse dalle labbra di Adelmo parole di consenso, quasi dette con sollievo.
Come se, ardiva Bencio, Adelmo altro in fondo non desiderasse, e gli fosse bastato trovare una ragione diversa dal desiderio carnale per acconsentire. Segno, argomentava Bencio, che il segreto di Berengario doveva riguardare arcani della sapienza, così che Adelmo potesse nutrire l’illusione di piegarsi a un peccato della carne per accontentare una voglia dell’intelletto. E, aggiunse Bencio con un sorriso, quante volte lui stesso non era agitato da voglie dell’intelletto così violente che per accontentarle avrebbe acconsentito ad assecondare voglie carnali non sue, anche contro la voglia carnale sua stessa.
“Non ci sono momenti,” chiese a Guglielmo, “in cui voi fareste anche cose riprovevoli per avere tra le mani un libro che cercate da anni?”
“Il saggio e virtuosissimo Silvestro II, secoli fa, diede in dono una sfera armillare preziosissima per un manoscritto, credo, di Stazio o Lucano,” disse Guglielmo. Aggiunse poi, prudentemente: “Ma si trattava di una sfera armillare, non della propria virtù.” Bencio ammise che il suo entusiasmo lo aveva trascinato oltre, e riprese il racconto. La notte prima che Adelmo morisse, egli aveva seguito i due, mosso dalla curiosità. E li aveva visti, dopo compieta, avviarsi insieme al dormitorio. Aveva atteso a lungo tenendo socchiusa la porta della sua cella, non lontana dalla loro, e aveva visto chiaramente Adelmo scivolare, quando il silenzio era calato sul sonno dei monaci, nella cella di Berengario. Aveva ancora vegliato, senza poter prendere sonno; sino a che aveva udito la porta di Berengario che si apriva, e Adelmo che ne fuggiva quasi di corsa, con l’amico che cercava di trattenerlo. Berengario lo aveva seguito mentre Adelmo scendeva al piano inferiore. Bencio li aveva seguiti cautamente e all’imbocco del corridoio inferiore aveva visto Berengario, quasi tremante, che schiacciato in un angolo fissava la porta della cella di Jorge. Bencio aveva intuito che Adelmo si era gettato ai piedi del vecchio confratello per confessargli il suo peccato. E Berengario tremava, sapendo che il suo segreto veniva svelato, sia pure sotto il sigillo del sacramento”.


Come detto, attendo commenti e mi raccomando…fate iscrivere anche i vostri amici a questo gruppo. Più siamo e più condividiamo esperienze, pensieri e opinioni.
Un abbraccio
Stefano






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