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martedì 26 marzo 2019

STILE RELAZIONALE DEI GENITORI E SVILUPPO DELL’IDENTITÀ

In uno dei miei post ho portato l’attenzione sul processo di formazione dell’identità personale, è lecito chiedersi quale sia il ruolo di quel complesso intreccio di relazioni familiari e in particolare il ruolo dello stile personale con cui i genitori entrano in relazione con i figli adolescenti che permette di favorire la competenza sociale e il processo di sviluppo dell’identità.

I lavori sviluppati in quest’ambito hanno rilevato, nel comportamento dei genitori, quattro diverse linee di tendenza che definiscono altrettanti stili educativi a cui corrispondono specifiche caratteristiche sia dei bambini sia degli adolescenti.

Genitori che adottano uno stile autorevole fondato sulla compresenza di richieste e di sostegno, sono quelli i cui figli, nell’adolescenza, appaiono più competenti, capaci di monitorare le proprie emozioni e meno soggetti alla devianza, diversamente dagli autoritari, permissivi o rifiutanti.

Si tende a ritenere che, almeno per una certa parte e in assenza di eventi che modifichino l’assetto familiare, lo stile genitoriale e il clima che essi sono in grado di creare mantenga una certa stabilità nel corso dello sviluppo dei figli, pur con alcune variazioni nell’adolescenza, fase in cui le madri tendono sia ad esercitare un maggiore controllo nei confronti dei figli sia a ridurre le proprie manifestazioni esplicite di affetto.

Lo stile genitoriale esercita un’importante influenza anche sullo sviluppo dell’identità personale.

Da una ricerca condotta su un ampio campione rappresentativo di adolescenti italiani di età compresa tra i 14 e i 19 anni sono emerse, dalle descrizioni effettuate dai ragazzi stessi, tre stili genitoriali, correlati con lo sviluppo dell’identità nelle sue dimensioni di concetto di sé, sfera affettivo-sessuale, sistema di valori e autonomia.

Una prima tipologia quella del genitore relazionato il cui obbiettivo è la crescita autonoma delle motivazioni del figlio, identifica quei genitori capaci di capire i punti di vista o le richieste dell’adolescenti, di prendere in considerazione le sue proposte, apprezzarne i contributi, fornire consigli, senza imporre le proprie ragioni.

Il genitore autocentrato tende, invece, a restare fermo sulle proprie posizioni, nella convinzione di possedere migliori strumenti per comprendere quale sia il bene dei figli e per stabilire le regole alle quali si deve obbedienza e rispetto. Il genitore evasivo appare spesso arrabbiato o deluso e psicologicamente assente.

I dati della ricerca indicano come lo sviluppo dell’identità adolescenziale nelle sue articolazioni di concetto di sé, di maturazione affettivo-sessuale e di costruzione di valori e di prospettiva futura venga favorita dalle modalità attuate dal genitore relazionato che, diversamente da quelle proprie dei genitori autocentrati ed evasivi, consentono l’elaborazione cognitiva e la maturazione consapevole delle esperienze. La dimensione dell’autonomia, intesa come propensione a conquistare spazi di indipendenza dalla famiglia, non appare connessa all’atteggiamento dei genitori, ma sembra seguire percorsi diversi.

L’importanza del ruolo dei genitori, rispetto a quello svolto dai coetanei o da altre persone significative, viene ribadito anche nelle ricerche che hanno preso in esame alcune circostanze difficili o particolari nelle quali possono trovarsi i figli preadolescenti, come ad esempio una malattia fisica o problemi psicologici.

In questi casi il sostegno nelle sue dimensioni di attenzione, affetto e incoraggiamento da parte dei genitori (o almeno da parte di uno solo dei due genitori), svolge un insostituibile ruolo protettivo riducendo l’effetto negativo di eventi di vita delicati o difficili e si configura come un fattore decisivo nello sviluppo della capacità dell’adolescente di far fronte ad eventi stressanti.

Tale funzione protettiva si può concretamente esprimere attraverso le funzioni di potenziamento dell’autostima, soprattutto nelle condizioni in cui il figlio debba confrontarsi con un proprio fallimento; l’appoggio diretto e la vicinanza in situazioni stressanti, la stabilità del rapporto affettivo al variare delle circostanze.

Sebbene spesso l’opinione comune sulle relazioni tra genitori e figli nell’adolescenza induca a ritenere che esse siano caratterizzate da conflitti profondi e gravi, i dati di diverse ricerche interculturali, condotte attraverso interviste realizzate in 10 paesi europei ed extraeuropei, tendono a smentire l’idea che la maggioranza degli adolescenti nutra insoddisfazione verso i genitori. Pur senza negare l’esistenza di conflitti solo un 10% dei ragazzi intervistati riferisce di avere rapporti deteriorati con i genitori contro un 75% che si identifica con loro e ne percepisce la vicinanza affettiva.

Per comprendere questa tendenza generale che ridimensiona il peso del conflitto occorre considerare i contenuti su cui esso si manifesta.

I temi su cui vertono le divergenze tra genitori e figli preadolescenti e adolescenti non sembrano molto cambiati rispetto al passato e continuano a riguardare le questioni quotidiane, quali gli orari, il contributo all’organizzazione familiare, l’impegno nello studio, le relazioni con gli amici che richiamano problemi connessi essenzialmente ai livelli di responsabilità e agli spazi di autonomia. Su temi importanti quali i valori dell’istruzione, quelli morali e sociali, e, in parte, quelli politici o relativi alla gestione del denaro e delle scelte sentimentali, il livello di congruenza tra genitori e figli è invece molto o sufficientemente elevato.

Nonostante l’importanza delle relazioni familiari fin qui descritte, occorre sottolineare che dai molti lavori che negli ultimi anni hanno cercato di isolare l’effetto specifico dello stile autorevole o delle influenze dei genitori, rispetto ad altre variabili quali ad esempio le variabili genetiche, le relazioni tra pari e l’ambiente sociale, sembra legittimo concludere che lo sviluppo  adolescenziale è un complesso intergioco di fattori in cui le influenze familiari e non familiari giocano tutte un ruolo importante.




Nota: La Dott.ssa Angela Sgambati è laureata in Psicologia Clinica e di Comunità con la Tesi di Laurea in: Tecniche di Osservazioni del Comportamento Infantile e Neuropsicologia Comportamentale “Conoscere e ristrutturare la relazione genitore – bambino con ADHD secondo la Prospettiva Cognitiva Causale”.
Inoltre, è Consulente Coniugale e Familiare iscritta all’ A.I.C.C.eF. (Associazione Italiana Consulenti Coniugalie e Familiari) facente parte dell’U.C.I.P.E.M. (Unione Consultori ItalianiPrematrimoniali e Matrimoniali) – Iscrizione n. 447 del 10/02/2007.
È altresì iscritta all’Ordine degli Psicologi del Lazio con numero d’iscrizione 21346 del 16/03/2015.
Per appuntamenti può essere contattata al seguente numero personale: 3476132861 e la sua e-mail è: info@psicologiadiroma.it
Se si desidera conoscere le attività del Centro di Consulenza Familiare “Santa Costanza”, del quale è Direttore Responsabile, potete visitare il seguente Sito Internet: www.ilconsultoriofamiliare.it


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giovedì 14 marzo 2019

LA CONSULENZA DI COPPIA

La vita è un intreccio di rapporti, alcuni buoni, altri cattivi. 
Grazie a queste relazioni si superano lo stadio infantile, le difficoltà dell'adolescenza e ci si incammina verso la maturità.
La relazione fa conoscere la sconfitta, insegna a sopportare la perdita e a vincere la paura, aiutano a sradicare il timore di amare. Sono ancora oggi la maggior fonte di stimolo, mantengono l'uomo aperto, curioso e desideroso di imparare dal cambiamento.
Tutti abbiamo bisogno uno dell'altro.
Ma se i rapporti falliscono non vuol dire che si è malvagi o avere aspettative non realistiche.
Una relazione è positiva se incoraggia una crescita ottimale del corpo, della mente  e dello spirito. 
Se un legame diventa distruttivo, mette a repentaglio la dignità, impedisce di crescere, deprime e demoralizza in continuazione, anche se si è tentato in tutti i modi di impedirne il fallimento, forse necessita di una  più profonda riflessione.
Essere uniti significa essere due entità in intimità tra loro, con la propria unicità.
L'amore è interazione dinamica, vissuta in ogni attimo della vita, è possibile donarlo solo spontaneamente, con un atto di chiara volontà. 
L'altro non è una entità fisica o una "cosa" da comprare, né d'altro canto l'amore può essere imposto oppure estorto.
Amore vuol dire fiducia, un amore pronto ad accogliere tutto ciò che gli viene offerto, l'amore che esige una contropartita porta con se il dolore.
Si ama perché si vuole amare, perché amare dà gioia, perché si sa che dall'amore dipende la scoperta e la realizzazione di se stessi.
L'uomo che crede in sé nutre fiducia anche negli altri.
Il potenziale dell'amore è sconfinato.
Pertanto non sorprende che ci si incontri difficoltà nell' esprimere un sentimento profondo e complesso come l'amore. 
All'uomo riesce arduo tradurre in parole ciò che prova.
L'amore è paziente e sa attendere, ma è un'attesa non uno status passivamente remissivo, poiché si offre incessantemente in un  rapporto di scambio e di reciproca rivelazione.
L'amore è spontaneo e implora di potersi esprimere attraverso la gioia, la bellezza, la verità.
Perfino attraverso le lacrime.
L'amore esige libertà, è un libero scambio di dare e avere. 
Tuttavia l'amore necessita di libertà anche per crescere ed evolversi.
Ogni individuo che si realizzi attraverso l'amore trova una via personale e soggettiva per concretarlo ed esprimerlo; ma non si può costringere l'altro a seguire lo stesso percorso. Al contrario, si deve esortare a trovare la propria strada.
Per amare gli altri dobbiamo amare noi stessi. Possiamo donare agli altri solamente ciò che possediamo in proprio. Non possiamo dare ciò che non abbiamo appreso e sperimentato di persona. 
https://drive.google.com/open?id=1bbfnapWKXtcLzyop51DS4p7MNO6_VpHk
 Amare noi stessi non si traduce in una visione egocentrica e ossessiva della propria realtà. Amare noi stessi significa avere a cuore la propria persona, provare nei confronti di se stessi interesse, rispetto, giusta attenzione.  
L'uomo ama se stesso quando si vede nella sua realtà, quando mostra di apprezzare ciò che vede, ma soprattutto quando vive come una sfida esaltante la prospettiva di ciò che è in grado di diventare.

Angela Sgambati

Nota: La Dott.ssa Angela Sgambati è laureata in Psicologia Clinica e di Comunità con la Tesi di Laurea in: Tecniche di Osservazioni del Comportamento Infantile e Neuropsicologia Comportamentale “Conoscere e ristrutturare la relazione genitore – bambino con ADHD secondo la Prospettiva Cognitiva Causale”.
Inoltre, è Consulente Coniugale e Familiare iscritta all’ A.I.C.C.eF. (Associazione Italiana Consulenti Coniugalie e Familiari) facente parte dell’U.C.I.P.E.M. (Unione Consultori ItalianiPrematrimoniali e Matrimoniali) – Iscrizione n. 447 del 10/02/2007.
È altresì iscritta all’Ordine degli Psicologi del Lazio con numero d’iscrizione 21346 del 16/03/2015.
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