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sabato 30 novembre 2024

IL MITO DEL POSTO FISSO: PERCHÉ IN ITALIA RESISTE E TORNA A SEDURRE NEL SECONDO MILLENNIO

 

«Io voglio fare il posto fisso». Così rispondeva un piccolo Checco Zalone, nel famoso film Quo Vado? al maestro che gli chiedeva cosa avrebbe voluto fare da grande. 

In effetti, in Italia il posto fisso, soprattutto nel settore pubblico, continua a essere considerato una meta ambita, simbolo di sicurezza e stabilità. Questa aspirazione, radicata nella cultura italiana da decenni, sembra resistere, se non rafforzarsi, nel contesto contemporaneo. Sorprendentemente, dopo un periodo di esaltazione delle libere professioni e delle carriere flessibili, si sta osservando una sorta di inversione di tendenza, con molti professionisti che abbandonano la libera professione per cercare un impiego stabile.

Ma perché il mito del posto fisso, soprattutto quello statale, esercita ancora un'attrazione così forte?

Innanzitutto vi è un fattore culturale, con una maggiore propensione alla ricerca del posto fisso nelle regioni del sud Italia. Persistono però molteplici altri fattori come, ad esempio, una maggiore sicurezza economica in un mondo incerto.

Infatti, l’instabilità economica e le crisi globali, come quella finanziaria del 2008 e la pandemia del 2020, hanno riportato al centro l’importanza della sicurezza del reddito. Il posto fisso garantisce stipendi regolari, benefit e tutele che molti liberi professionisti possono solo sognare e nel settore pubblico, questa sicurezza è ancora più marcata.

Da non sottovalutare poi i contratti blindati e difficili da rescindere e la pensione garantita con il relativo trattamento di fine rapporto.

Infine, vi è una maggiore resistenza ai licenziamenti rispetto al settore privato.

In un’epoca di precarietà e gig economy, il desiderio di stabilità diventa un valore irrinunciabile.

D’altro canto, per quanto riguarda la libera professione, c’è da dire che, nonostante la retorica degli ultimi anni abbia esaltato l’autonomia e la libertà di questa scelta, la realtà è spesso più complessa.

Ad esempio, la pressione fiscale è elevata: in Italia, i liberi professionisti devono affrontare una tassazione onerosa, unita a contributi previdenziali elevati.

Vi è poi una concorrenza e svalutazione del lavoro: in molti settori, il libero mercato ha portato a una corsa al ribasso sui prezzi, rendendo difficile mantenere guadagni dignitosi.

Infine, persiste una incertezza incessante, nel senso che non c'è garanzia di un flusso costante di lavoro e, di conseguenza, di reddito.

Questi fattori stanno spingendo molti professionisti a cercare rifugio in occupazioni stabili, spesso nel settore pubblico, percepito come un’oasi di tranquillità.

Bisogna poi considerare la tradizione culturale italiana nel senso che, come già accennato, il mito del posto fisso ha radici profonde nella cultura italiana, alimentato da decenni di politiche che hanno favorito l’impiego pubblico come strumento di stabilità sociale. Per molte famiglie, il lavoro statale rappresenta ancora un sinonimo di rispettabilità sociale in quanto è considerato una conquista personale e familiare.

Il posto fisso, soprattutto quello del settore pubblico, è quindi tornato ad esercitare un certo fascino poiché, oltre alla stabilità economica, offre vantaggi che lo rendono particolarmente attraente. Vi sono infatti orari regolari e possibilità di conciliare lavoro e vita privata. Possibilità di avanzamento di carriera che, pur essendo lento, è spesso definito e certo e minor pressione lavorativa rispetto a molte realtà del settore privato o freelance.

Non a caso, gli ultimi anni hanno visto un rilancio dei concorsi pubblici, con bandi per decine di migliaia di posti, incentivati dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Questa opportunità ha acceso le speranze di chi cerca una stabilità che nel settore privato fatica a trovare.

I giovani italiani, spesso definiti "bamboccioni" con un’accezione ingiusta, non cercano solo comodità, ma certezze in un contesto che ne offre sempre meno. La precarietà lavorativa e il costo della vita rendono il posto fisso una scelta quasi obbligata per poter pianificare il futuro, acquistare una casa o costruire una famiglia.

C’è però un prezzo da pagare per avere tutte queste certezze e mi riferisco alle retribuzioni che sono purtroppo ancora lontane dalla dignità.

Infatti, nel panorama del settore pubblico italiano, le problematiche legate alle retribuzioni sono una realtà che da anni affligge milioni di lavoratori, nonostante i numerosi proclami e promesse di riforma da parte della politica. 

La situazione resta critica, evidenziando un divario sempre più ampio tra le aspettative legittime dei lavoratori e le risposte che il sistema riesce a offrire.

I dipendenti pubblici italiani continuano a percepire salari che, nella maggior parte dei casi, non sono in linea né con il costo della vita né con il valore delle mansioni svolte. 

Se si guarda a livello europeo, l'Italia si colloca in fondo alla classifica per quanto riguarda la competitività delle retribuzioni nel settore pubblico.

Questa situazione risulta particolarmente grave in un contesto in cui l’inflazione erode quotidianamente il potere d’acquisto dei cittadini. 

Le retribuzioni non riescono a garantire una qualità di vita adeguata, costringendo molte famiglie a tagliare sulle spese essenziali. Per i lavoratori più giovani, questo significa anche ritrovarsi in difficoltà nel costruire un futuro solido, con difficoltà nell'acquisto di una casa o nell'avvio di una famiglia.

Vero è che esiste la possibilità di una carriera interna, attraverso appositi concorsi, che assicurano promozioni e aumenti salariali ma spesso ci si mette la burocrazia, con i suoi tagli di bilancio e una gestione inefficiente delle risorse, a portare i dipendenti a vivere un senso di frustrazione e demotivazione.

Per quanto riguarda le pensioni, la dolente nota riguarda la cosiddetta “liquidazione” che, nel Pubblico Impiego, viene corrisposta in tranche a distanza di anni dal momento del pensionamento. 

Questo ritardo genera non solo stress psicologico, ma anche un peggioramento delle condizioni di salute di chi, spesso in età avanzata, è costretto a continuare a lavorare in un contesto che non sempre tiene conto delle loro esigenze.

È necessario quindi che le istituzioni affrontino con urgenza il tema delle retribuzioni e della liquidazione nel settore pubblico, riconoscendo il ruolo fondamentale che questi lavoratori ricoprono per il funzionamento del Paese.

Non dimentichiamoci che il settore pubblico è il motore che garantisce servizi essenziali ai cittadini, dalla sanità all’istruzione, dalla sicurezza alla cultura. Trascurare i diritti economici di chi opera in questo ambito significa non solo tradire le aspettative dei lavoratori, ma anche minare la qualità dei servizi resi alla collettività.

È il momento di passare dalle parole ai fatti, mettendo al centro delle politiche pubbliche il benessere dei dipendenti e la dignità delle loro pensioni. Solo così si potrà costruire un sistema equo e sostenibile, capace di restituire fiducia e prospettive a chi ogni giorno lavora per il bene del Paese.