lunedì 24 novembre 2025

Nel bosco di Palmoli: libertà, infanzia e destino

 

C’era una volta una famiglia che aveva scelto il silenzio del bosco al posto del frastuono della città. Anglo-australiani di origine, ma radicati tra le colline d’Abruzzo, vivevano senza acqua corrente, senza luce elettrica, senza televisione. Solo il canto degli uccelli, il crepitio del fuoco e le parole di una maestra privata che insegnava ai bambini ciò che la scuola non aveva mai potuto offrire.

Per anni la loro vita alternativa è scivolata come un ruscello nascosto, lontano dagli occhi del mondo. Finché un giorno, un pasto di funghi raccolti tra le foglie ha portato i piccoli in ospedale. Lì, la fragile armonia si è incrinata: i medici hanno scoperto la scelta radicale dei genitori, e il tribunale ha aperto le porte della legge.

 

Il Tribunale per i minorenni dell’Aquila ha visto in quella libertà un pericolo:

 

l’assenza di confronto con altri bambini,

 

la mancanza di sicurezza della dimora,

 

il rifiuto dei controlli sanitari.

 

Così la potestà genitoriale è stata sospesa, e i figli affidati a una struttura protetta, dove la madre li accompagna ancora, ma il padre li vede di rado.

 

La vicenda ha acceso un fuoco di parole. C’è chi parla di trauma, di sradicamento, di un intervento troppo duro. C’è chi ricorda altri bambini, come quelli delle comunità Rom, che vivono nel degrado senza che lo Stato intervenga con la stessa forza.

Il bosco di Palmoli diventa così simbolo di un conflitto antico:

 

dove finisce la libertà di una famiglia e dove inizia il diritto dei bambini a crescere protetti?

 

può la natura essere maestra sufficiente, o la società deve sempre bussare alla porta?

 

Questa storia non è solo cronaca: è parabola. Ci parla di radici e di ali, di genitori che cercano un mondo diverso e di istituzioni che temono per il futuro dei più piccoli. Nel fruscio delle foglie resta la domanda: quanto siamo disposti a lasciare che la libertà si intrecci con la fragilità dell’infanzia?

mercoledì 19 novembre 2025

IL POTERE DEL SILENZIO


Viviamo immersi nel rumore, soprattutto se abitiamo in una città caotica come può essere Roma, Milano oppure Napoli. Ad esso ci siamo quasi assuefatti al punto che solo quando siamo in vacanza, magari in montagna, ci rendiamo conto di quanto prezioso sia il silenzio e quanto ne avremmo bisogno per vivere meglio, a misura d’uomo. 

   Esiste però un altro tipo di rumore al quale siamo completamente assuefatti e del quale non parliamo mai: il rumore dei nostri molteplici pensieri che vanno e vengono instancabilmente, come una scimmia che salta da un albero all’altro senza soluzione di continuità. 
   Come placare allora questo andare e venire continuo dei pensieri? Come sedare, almeno per pochi minuti, questa scimmia dispettosa e vivace che abbiamo dentro la nostra testa?
   Esistono in realtà molteplici metodi per riuscire in questa impresa. Uno dei tanti viene insegnato nelle scuole del Buddhismo Zen dove, tra le varie attività proposte, c’è la meditazione seduta detta Zazen. 
   Zazen comporta il sedersi in una determinata posizione, con la schiena dritta e il respiro consapevole evitando, tra l’altro, di controllare i pensieri.
   I pensieri si susseguiranno in modo incessante ma l’obiettivo non è quello di bloccarli o di seguirli. La cosa importante è rimanere calmi e consapevoli del momento presente e lasciare che i pensieri, così come sono nati, vadano via in maniera naturale. 
   Questo esercizio possiamo farlo a prescindere dalla religione di appartenenza o anche se non seguiamo alcuna religione e non è neanche in contrasto con l’essere cristiano. 
   Un sacerdote della mia parrocchia, Don Andrea, nel corso delle sue omelie amava ripetere che la preghiera ideale non è fatta di molte parole. Basta rilassarsi e fare un bel respiro consapevole e questo è già preghiera. 
   In effetti, aggiungo io da credente, se liberiamo la mente da tutti i pensieri inutili che la riempiono, diamo modo alla grazia del Signore di entrare e non c’è neanche necessità di usare molto le parole perché, almeno questa è una mia convinzione, il Signore già sa di cosa abbiamo bisogno senza che glielo andiamo a ricordare.
   Purtroppo noi siamo abituati a chiedere, chiedere, chiedere, quasi come avessimo stipulato una polizza assicurativa ma il Signore già sa di cosa abbiamo bisogno.
   Naturalmente le mie sono riflessioni e non pretendo di avere in mano la Verità assoluta. Ognuno vive la vita e la preghiera nel modo che preferisce ma, tornando a noi e per concludere, immaginiamo di entrare in una bella chiesa dove regna il silenzio assoluto e dove i presenti adottano il metodo della respirazione consapevole. Quanto forte sarà la preghiera di tutti nel momento in cui si sommano i loro silenzi?